LE GUIDE DI IMPACTSKILLS | La comunicazione sociale, cos’è davvero e perché è importante


Ci si potrebbe chiedere se esista davvero una “comunicazione sociale” o la comunicazione non sia semplicemente tale, con i suoi principi e le sue regole, applicate a diversi temi, tra cui anche quelli sociali. La domanda è legittima.
In questa breve guida proviamo ad esplorare i principi, le peculiarità, gli approcci e gli stili che rendono davvero “sociale” una comunicazione di interesse pubblico
“L’insieme dei messaggi promossi da diversi attori con l’obiettivo esplicito di educare e/o sensibilizzare il largo pubblico su tematiche di interesse generale”, così definisce la comunicazione sociale Giovanna Gadotti, tra le prime studiose di questa materie e autrice di La comunicazione sociale. Soggetti, strumenti e linguaggi.
Una definizione-ombrello, sotto cui possono riconoscersi molti attori, pubblici e privati, e molte modalità comunicative. All’interno di questa si possono sintetizzare tre tipologie principali:
- Comunicazione di sensibilizzazione. L’intento è di sensibilizzare il destinatario su tematiche di importanza collettiva
- Comunicazione di educazione/persuasione. L’intento è modificare i comportamenti di un pubblico target
- Appelli verso il pubblico. L’intento è di sollecitare il destinatario ad effettuare un contributo in favore di terzi.
La comunicazione sociale risulta in questa forma parte integrante della comunicazione pubblica, poiché entrambi veicolano messaggi simili, rivolti alla comunità. Ci sono alcuni elementi distintivi di entrambe; l’essere prive di finalità commerciali, (anche se si potrebbe obiettare che certe campagne di fundraising non si discostano poi tanto dal marketing tradizionale) e rivolte a promuovere una “buona causa” (ma anche qui, l’ambiguità del termine può aprire voragini di incertezza..)
Insomma, non è così semplice definire i confini della comunicazione sociale, ma a mio avviso ciò che meglio la definisce non è solo di cosa parla, ma anche, e soprattutto, come ne parla.
Molto importante in questo senso quanto sostengono Morcellini e Mazza in Oltre l’individualismo Comunicazione, nuovi diritti e capitale sociale, in cui la comunicazione sociale viene definita come un “riduttore dell’attrito tra gli individui grazie all’attivazione di processi di negoziazione tra particolare e universale, tra pubblico e privato”. In sostanza un’attività che favorisce e riproduce la relazionalità tra i cittadini, attiva processi di cooperazione, disintermediazione e cittadinanza attiva
Vediamo come.
Se riconosciamo la comunicazione sociale come termine “ombrello” che può comprendere vari contenuti e finalità specifiche, che si differenziano fra loro ma condividono l’obbligo di dare una giustificazione “sociale” del loro operato e attivare processi di empowerment e cittadinanza attiva, si possono allora individuare alcune categorie principali, come sostenuto da Pina Lalli nel Secondo rapporto sulla comunicazione sociale in Italia:
- fund raising per cause sociali specifiche (ad es.: cercare finanziamenti per sostenere la ricerca sul cancro o per supportare la costruzione o il restauro di un edificio collettivo)
- processi di advocacy per promuovere e trovare alleanze su cause, movimenti, ecc. (ad es.: sostenere una causa ecologica o allargare la base di volontariato o di mobilitazione nella propria organizzazione)
- informazioni utili per ovviare a disuguaglianze di accesso (ad es. ai servizi di interesse collettivo, ma anche per superare eventuali divari nelle competenze di utilizzo di taluni strumenti tecnologici)
- promozione di cambiamenti del comportamento di un gruppo o di un sottogruppo con tecniche di marketing sociale (ad es.: promuovere stili di vita considerati più sani, spingendo le persone a smettere di fumare, o a muoversi di più, o ad alimentarsi meglio, a non abusare di alcol o droghe, etc.)
- accountability dell’operato istituzionale (ad es.: i cosiddetti bilanci sociali, che possono riguardare organismi non profit, istituzioni pubbliche o aziende private che intendano mostrare e rendere conto di forme di governance socialmente responsabili)
- promozione e dibattito sui processi di presa di decisione, utilizzando forme diverse di comunicazione a seconda degli interlocutori (ad es.: le varie forme sperimentali di consultazione o decisione partecipativa)
Certo nella società dell’informazione che stiamo vivendo, l’imperativo della comunicazione e della visibilità sembra imporre a tutti stili e strumenti professionali di pubblicità ed informazione per competere in maniera vincente (o almeno non troppo perdente) nella vasta e sofisticata arena delle idee e delle immagini contemporanee. In questa arena – spesso spietata – è tutt’altro che facile far emergere i temi della comunicazione sociale.
Sempre per sintetizzare al massimo possiamo individuare tre diversi approcci a cui si possono riferire una gran parte delle campagne sociali (Martin Scott Media and development) non senza discutibili effetti collaterali. Va infatti sempre considerato che informazione e comunicazione costruiscono l’immaginario collettivo nel pubblico target, ovvero l’idea di mondo che le persone si creano, che è poi alla base delle scelte concrete che ognuno fa. In questo senso la comunicazione (tutta, non solo quella sociale!) ha una responsabilità enorme.
Ma vediamo i principali approcci:
Approccio: Paternalistico-Effetto shock
Emozione su cui si basa: senso di colpa
Stile molto utilizzato nelle campagne sociali in Italia dei decenni passati, ma per nulla scomparso neanche oggi, presuppone di colpire l’emotività delle persone presentando in modo commovente drammi di popoli o persone svantaggiate per suscitare la propensione alla donazione attraverso il senso di colpa. Molto utilizzate le immagini di bambini, spesso sofferenti o denutriti, nonostante diversi codici di condotta deontologica lo vietino. Questo approccio costruisce un immaginario collettivo basato sulla distinzione “Noi-loro”, tra chi aiuta e chi deve essere aiutato, può riferirsi a diverse parti del pianeta (ad esempio il cosiddetto “Terzo mondo”) o a singole persone, comunque sempre rappresentate come incapaci di affrontare la propria situazione da soli e totalmente bisognosi dell’aiuto urgente del “salvatore”. Il senso di colpa è tuttavia un sentimento assai poco gradevole da provare e a lungo andare rischia di ottenere l’effetto opposto di rifiuto o indifferenza.
Approccio: Rassicurante-Positivismo deliberato
Emozione su cui si basa: happy end, onnipotenza
Approccio costruito in larga misura per superare il senso di colpa e spingere all’azione basandosi su emozioni positive, parte dal rispetto dei soggetti rappresentati e si focalizza sul ruolo fondamentale dell’azione del pubblico target per il raggiungimento di obiettivi lodevoli. “Tu puoi” potrebbe essere il suo motto, il senso di onnipotenza la sua emozione. Nella costruzione dell’immaginario collettivo non supera la distinzione “Noi-loro” soprattutto quando riguarda paesi poveri o fasce deboli
Approccio: Destabilizzante/Appello alla paura
Emozione su cui si basa: vulnerabilità, timore
Il fear arousing appeal (letteralmente “appello alla paura”) è un approccio elaborato con l’intenzione di suscitare timore o paura nel destinatario. Sono pertanto fear appeal tutti quei messaggi che contengono rappresentazioni visive e/o verbali che mostrano, in maniera più o meno realistica, le conseguenze negative di comportamenti a rischio. Lo scopo è quello di far percepire al soggetto un senso di vulnerabilità, per indurlo a modificare i comportamenti dannosi. Ma anche qui se le emozioni in gioco sono troppo forti il rischio è quello di creare un effetto negativo, che porta alla rimozione o al rifiuto del messaggio
Approccio: Anticonformista/Comunicazione post-umanitaria
Emozione su cui si basa: ironia
Superare sensi di colpa, buonismi e paura è l’intento della comunicazione sociale anticonformista, che mira a superare la distinzione tradizionale “salvatori-salvati” spesso invertendo i ruoli e fa ampiamente leva sull’ìronia per coinvolgere il pubblico target. Approccio molto usato in tempi recenti soprattutto quando si tratta di campagne su categorie deboli o paesi poveri può incorrere in rischi di epic fail con effetti di rifiuto quando non fa abbastanza attenzione al contesto, al tempo storia e alla misura dell’ironia stessa
A questi approcci fortemente incentrati al conquistare visibilità nell’arena, può aggiungersi quello Didascalico-didattico che mira più semplicemente a un obiettivo informativo o di sensibilizzazione e meno direttamente a indurre un cambiamento di comportamento o un’azione concreta.
Tuttavia, per conquistare la visibilità più o meno effimera sui media, è indispensabile avere non solo un approccio distintivo ma anche una strategia da programmare con cura, fare chiarezza sugli scopi, saper stringere alleanze o evitare eccessivo contrasto, realizzare azioni, interventi o norme utili per favorire il cambiamento; e, infine, monitorare e valutare gli esiti.
Bisogna quindi conoscere le regole e le metodologie della comunicazione commerciale per muoversi nell’arena comunicativa di oggi, distinguendosi.
Per regolare la comunicazione sociale non esistono ordini professionali specifici, tuttavia alcuni codici di condotta sono riferimenti fondamentali (o almeno dovrebbero esserlo) per tutti i comunicatori che trattano temi sociali, legati all’infanzia, alla migrazione e in generale alle categorie deboli. Vediamone alcuni
Protocollo firmato il 5 ottobre 1990 da Ordine dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro con per disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia.
Protocollo deontologico nato su spinta del UNHCR concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. Sottoscritta da Ordine dei giornalisti e FNSI nel 2008
CODE OF CONDUCT ON IMAGES AND MESSAGES
Protocollo Concord, sottoscritto dalle ong europee nel 2006
VADEMECUM PER UNA INFORMAZIONE INTERNAZIONALE RESPONSABILE
Vademecum in 10 punti prodotto dal programma europeo DevReporter in collaborazione tra ong e ordine dei giornalisti
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