L’approccio di genere è una “cosa da donne”?

Donne e uomini non sono uguali. Una banalità? Non se si vuole lavorare seriamente nei processi di sviluppo.

L’approccio di genere non è fare progetti per le donne, non è una disciplina e non è un ambito di intervento come tanti altri nella cooperazione internazionale. L’approccio di genere è un approccio trasversale a tutti gli ambiti, perché si tratta di un modo di guardare le cose.

Questa è la premessa da cui parte lunedì 28 novembre il nostro corso di formazione in diretta online “Approccio di genere nella cooperazione internazionale” tenuto da Luisa Del Turco, grande esperta di politiche di genere. Si tratta, in concreto, di conoscere una serie di strumenti che permettono di analizzare ogni attività ponendo attenzione continua alle differenze, alle attitudini e alle competenze di uomini e donne.

Un esempio di strumento? L’analisi di genere.
“Quando lavoro in un paese con un’organizzazione locale o anche quando guardo la mia stessa ong – spiega Luisa Del Turco – se indosso la lente di genere, vado ad analizzare dove ci sono uomini e donne, in che percentuale, quale ruolo ricoprono, che cosa fanno, se partecipano attivamente o no all’azione di intervento. Sulla base di questa analisi è possibile valutare qual è il soggetto meno coinvolto, o se un soggetto è posizionato in un ruolo che non è adatto al suo genere e questo inficia la riuscita del mio progetto”.
In generale sono le donne le più marginalizzate dai processi produttivi e politici, ma non è sempre così. Ci sono contesti in cui la marginalizzazione riguarda gli uomini. “Ad esempio nei campi profughi – spiega Del Turco – dove gli uomini sono molto pochi, e la maggioranza dei servizi riguarda donne e bambini”.

Altri strumenti dell’approccio di genere sono il gender planning, il gender evaluation: “tutto il ciclo del progetto può essere rivisto alla luce della lente di genere. Dall’analisi dei bisogni, all’implementazione, fino alla valutazione dobbiamo sempre tenere presente la differenza uomo-donna” sostiene la docente.
Gli effetti sono tanti, implementare l’approccio di genere non è una scelta politica o ideologica, è prima di tutto una scelta di efficienza, che riguarda tutte le organizzazioni, le azioni di sviluppo, umanitarie o in aree di conflitto. Un esempio che riporta Luisa del Turco è quello dell’Afghanistan dove il ruolo di uomini e donne è declinato in modo molto diverso dalle aree di provenienza dei cooperanti, se non ci sono competenze di genere si possono non solo non raggiungere gli obiettivi del programma ma anche causare danni gravi. Ad esempio, se un operatore maschio prende contatti con una operatrice locale donna in un contesto sbagliato si rischia non solo di fallire ma anche di mettere a rischio l’incolumità della donna in un paese dove una percentuale altissima di donne è in carcere per reati morali.

L’approccio di genere è fondamentale per operare nel modo giusto nel contesto relativo, ed evitare errori grossolani

Ma si tratta anche di efficienza – continua Del Turco – . Ad esempio, è dimostrato che le donne sono dei canali ottimi e molto affidabili per la distribuzione degli aiuti nei contesti di emergenza”.
Le donne, marginalizzate dai poteri forti, hanno spesso sviluppato pratiche alternative nell’ambito del peacebuilding o dei processi di sviluppo, per questo conoscere e valorizzare queste pratiche può fare la differenza.

Leggi anche

Gli Open Digital Badge come risposta al moltiplicarsi dei corsi online

Gli Open Badge sono delle schede elettroniche sotto forma di immagine, condivisibili e contenenti una serie di metadati legati all’ente di formazione, al corso seguito e soprattutto alle conoscenze e capacità acquisite. Il loro compito è quello di attestare le competenze, attraverso una serie di evidenze (output) riconosciute da uno standard condiviso.